Pechino, le sedi olimpiche «proprio accanto ai campi di prigionia» | Epoch Times Italia

2022-03-03 06:02:15 By : Ms. Lily Xu

New York — La cerimonia di apertura delle Olimpiadi Invernali di Pechino conteneva tutto lo sfarzo di un regime autoritario desideroso di ravvivare la propria immagine globale: centinaia di bambini con in mano oggetti di scena a forma di colomba disegnavano la forma di un cuore, mentre ballavano in un stadio illuminato dalle stelle; i fuochi d’artificio verdi e bianchi formavano poi la parola «primavera»: un riferimento alla celebrazione del capodanno lunare.

«Un mondo, una famiglia»: così recitava lo slogan mostrato agli spettatori nello stadio nazionale ‘Nido d’uccello’ il 4 gennaio, riecheggiando un appello all’unità che il regime cinese ha spesso ripetuto sulla scena mondiale negli ultimi anni.

Secondo gli attivisti, con questo spettacolo sfavillante, il Partito Comunista Cinese (Pcc) sta cercando di distogliere l’attenzione del mondo da realtà molto più cupe, tra cui le detenzioni, le torture e le morti che avvengono a pochi chilometri di distanza dalle sedi olimpiche.

Dietro la magia, c’è infatti l’orrore: solo pochi giorni dopo, una detenuta è stata portata a casa su una barella perché gravemente emaciata ed è stata subito condannata a 2 anni e mezzo. Un’altra detenuta ha trascorso tutti i suoi 30 anni in prigione, solo per ricevere un’altra lunga condanna anni dopo. Una terza ha perso il marito a causa della persecuzione e ora è lei stessa dietro le sbarre. Tutte e tre sono diventate obiettivi del regime non perché hanno commesso crimini, ma semplicemente per aver perseverato nella pratica della loro fede pacifica.

Le loro storie e altre sono state presentate in una mappa interattiva pubblicata il 4 febbraio, lo stesso giorno in cui Pechino è diventata la prima città al mondo ad ospitare sia i Giochi estivi che quelli invernali. La mappa, sviluppata dal Falun Dafa Information Center, ha messo in luce più di una decina di «punti caldi di persecuzione» a Pechino e dintorni, dove i praticanti del gruppo religioso Falun Gong stanno soffrendo solo perché non intendono rinunciare alle loro convinzioni spirituali, che si riassumono nei principi di verità, compassione e tolleranza. La persecuzione è cominciata nel 1999 a causa dell’enorme numero di praticanti del Falun Gong nel Paese (tra i 70 e i 100 milioni), visto dal regime come una minaccia.

Secondo il gruppo per i diritti umani con sede a New York, si tratta della prima mappa completa del suo genere che consente «uno sguardo all’interno dei luoghi che il Partito Comunista Cinese non vuole che tu veda».

Il portavoce del Falun Dafa Information Center Erping Zhang sottolinea che la «vicinanza della gloria olimpica alla terribile sofferenza umana mette in evidenza la tragica e spesso ingannevole governance del Partito Comunista Cinese. Non c’è nessun altro regime al mondo che abbia l’audacia e il peso internazionale per ospitare i Giochi e contemporaneamente tenere in detenzione un numero così elevato di prigionieri di coscienza in ambienti pieni di abusi e torture».

Gli aderenti al Falun Gong sono stati sottoposti a più di due decenni di persecuzione sotto il regime comunista, che ha considerato il gruppo una minaccia dopo che la pratica è esplosa in popolarità negli anni ’90. All’epoca si stimava infatti che tra i 70 e i 100 milioni di persone praticassero il Falun Gong.

Ebbene, una mezza dozzina di strutture di tortura che trattengono i detenuti del Falun Gong si trovano a circa 15-30 chilometri di distanza dalle principali sedi olimpiche di Pechino, dallo Stadio Nazionale all’Ovale del Pattinaggio di Velocità Nazionale, dove la competizione di pattinaggio di velocità è iniziata il 5 febbraio.

«Potresti letteralmente guardare l’evento olimpico di pattinaggio di velocità, uscire dalla porta dall’ovale e camminare per 22 chilometri verso est e sei in un campo di prigionia dove le persone vengono incarcerate […] per la loro fede nel Falun Gong», ha detto a Epoch Times Levi Browde, direttore esecutivo del Falun Dafa Information Center.

I ricercatori hanno impiegato un mese per verificare i dettagli e completare la mappa. Molte delle strutture hanno un nome pubblico e privato e persino due indirizzi, per evitare un controllo esterno. Alcuni di loro, dal momento che fungono sia da campo di lavoro forzato che da altro, hanno adottato un nome secondario come copertura per la loro attività di lavoro in schiavitù.

Nonostante i suoi anni di ricerca sulla campagna di persecuzione, per Browde vedere visivamente le strutture è risultato ancora sorprendente: «È un po’ come andare a vedere lo Yankee Stadium e poi andare da qualche parte a Central Park, e lì c’è un campo di prigionia».

Browde cita il caso di Shi Shaoping, 52 anni, che ha conseguito un master presso l’istituto di fotochimica della principale istituzione scientifica nazionale del Paese, l’Accademia delle scienze cinese.

Shi è stato arrestato a casa sua a novembre 2019, ma la sua famiglia non ha saputo dove si trovasse fino ad aprile 2021. È stato allora che la polizia li ha informati della condanna a nove anni di Shi nella prigione n. 2 di Pechino, una struttura dove sono reclusi i prigionieri del braccio della morte e coloro che stanno scontando l’ergastolo.

Shi aveva già scontato una pena detentiva di 10 anni a causa della sua fede prima di questo arresto. Nella prigione di Qianjin, anch’essa sulla mappa interattiva, Shi è stato costretto a sedersi immobile su un piccolo sgabello per un massimo di 20 ore al giorno per un periodo di alcuni anni, secondo Minghui.org, un sito che raccoglie informazioni sulla persecuzione del Falun Gong. Nelle giornate invernali più fredde, le guardie lasciavano la finestra aperta, facendolo tremare. E una volta gli è stato impedito di usare il bagno per un mese intero.

A 26 chilometri di distanza dallo stesso luogo di pattinaggio si trova la prigione femminile di Pechino, dove l’artista Xu Na è stata imprigionata fino al mese scorso.

Mesi prima dei Giochi Olimpici Estivi di Pechino nel 2008, la polizia ha arrestato Xu e suo marito Yu Zhou durante un «controllo olimpico», dopo aver scoperto i libri del Falun Gong nella loro macchina. Yu, un cantante e musicista folk, è morto in detenzione 11 giorni dopo, alla vigilia del capodanno cinese, mentre Xu ha successivamente trascorso tre anni in prigione.

A circa 35 km a nord-ovest dello stadio nazionale, il centro di detenzione del distretto di Changping ha trattenuto Wang Chaoying per la distribuzione di materiale informativo sul Falun Gong. La 68enne è stata ricoverata in ospedale tre volte in un periodo di sei mesi tra il 2020 e il 2021. È stata mandata a casa in barella dopo aver perso 40 chili. Dieci giorni dopo, la corte ha emesso il suo verdetto: una pena detentiva di 2 anni e mezzo.

Minghui.org riferisce che negli ultimi due anni si sono verificai oltre 31 mila casi di arresti e molestie. Sul sito si legge che circa 1.800 persone sono state condannate e più di 200 sono morte nello stesso periodo; tuttavia, gli esperti di diritti umani ritengono che il vero dato delle vittime sia notevolmente più alto, in quanto è difficile ottenere informazioni dalla Cina.

Liu Jiying, fuggita a New York nel 2016 dove ha incontrato per la prima volta Xu nel 2001, ha detto a Epoch Times che a 21 km a nord dell’ovale di pattinaggio si trova il Riformatorio di Pechino, che in realtà è una struttura sotterranea di lavoro forzato, dove divennero praticamente schiave. Entrambi sono state successivamente trasferite alla prigione femminile di Pechino, allora ancora in costruzione. Liu stava scontando una pena detentiva di otto anni, mentre Xu una condanna a cinque anni.

Ogni unità carceraria si procurava i propri «lavori». Xu ha dovuto fatr alcuni dei lavori più duri, tra cui cucire le suole delle scarpe, cosa che spesso la teneva sveglia fino alle 2 del mattino. Liu ha realizzato maglioni e sciarpe per l’esportazione, i lacci cuciti sui calzini da sci e assemblato album di francobolli. Spesso ha dovuto confezionare circa 10.000 bacchette usa e getta ogni giorno. Non poteva dormire fino a quando la quota assegnata non fosse stata raggiunta. Non era permesso parlare, ma una volta Liu ha mostrato il pollice in su a Xu per tirarla su di morale.

La ora sessantasettenne Liu racconta che la situazione igienica nell’area di produzione era spesso deplorevole. Le bacchette a volte avevano le impronte delle scarpe. Quando metteva dei tamponi di cotone (un altro prodotto che doveva confezionare) nei sacchetti di plastica della prigione femminile di Pechino, piccoli insetti strisciavano fuori, ma i tamponi venivano comunque etichettati come «disinfettati».

È stato mentre era in queste strutture che Liu ha giurato di non usare mai più le bacchette usa e getta. «Quando le persone prendono le bacchette per mangiare, pensano che siano pulite. Chi le esaminerebbe così da vicino?».

Il 14 gennaio, tre settimane prima dei Giochi invernali, Xu è stata condannata a un’altra pena detentiva di otto anni per il suo ruolo nel fornire foto a Epoch Times che documentavano i primi mesi della pandemia. Mentre seguiva il caso di Xu da New York, Liu ha detto che la notizia le ha dato un’inspiegabile tristezza. «Ha già scontato otto anni, ora sono altri otto».

Liu sa di altri che sono andati anche peggio: una delle sue amiche, che non ha ceduto alle pressioni delle autorità per rinunciare alla sua fede, ha scontato 12 anni. Suo figlio aveva 9 mesi quando è stata imprigionata. Quando la donna è stata liberata, il bambino non l’ha riconosciuta come sua madre.

«Cosa abbiamo fatto? Non ho fatto niente di illegale. Che diritto hanno di imprigionarmi per otto anni?» ha chiesto Liu. «Sono loro che infrangono la legge».

Una volta aveva posto le stesse domande in un’udienza di giudizio nel 2016. «State commettendo un crimine», ha detto alle autorità. E loro «non hanno detto una parola».

Liu ha perso sua madre poco dopo il suo rilascio nel 2016. La donna aveva perso i sensi dopo l’arresto della figlia e un’irruzione in casa. «Mia madre non doveva morire».

Le tragedie che hanno attraversato due Olimpiadi di Pechino dovrebbero chiarire alla comunità internazionale che il regime non è cambiato affatto, ha commentato Browde. «Troppo spesso guardano i grattacieli e tutti gli Starbucks intorno a Pechino e pensano: “Oh, questa è la nuova Cina”. Pensano solo che sia migliore e più civile. Vedere le sedi delle Olimpiadi proprio accanto ai campi di prigionia[…] dove le persone sono incarcerate e torturate a causa della loro fede, rende molto evidente l’inganno e l’ipocrisia del Pcc».

Articolo in inglese: Olympic Venues ‘Right Alongside Prison Camps’: Torture, Detention Occurring Just Miles Away From Beijing Games

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