Ucraina Russia, le news sulla guerra in diretta
L’accordo raggiunto nella notte tra i leader europei per un embargo ancorché parziale alle forniture russe di petrolio ha fatto schizzare ai massimi dall’inizio della guerra il prezzo del Brent, che nelle prime ore del mattino ha superato quota 124 dollari per barile, in rialzo dell’1,5 per cento sui prezzi già sostenuti della vigilia. Il petrolio si avvia dunque alla sesta chiusura consecutiva al rialzo.
Si tratta dei massimi livelli toccati negli ultimi due mesi. Il petrolio qualità Wti, invece, è attualmente trattato a 118,57 dollari al barile, in aumento del 3,04 per cento. C’è attesa a questo punto per vedere come reagiranno le Borse europee e soprattutto come reagirà Wall Street nel pomeriggio, dopo la chiusura di lunedì per il Memorial Day. In Europa, Milano e Francoforte perdono in apertura circa mezzo punto percentuale, l’Eni guadagna l’1,25 per cento a 14,378 euro.
Il nuovo mercato del petrolio
La decisione dei leader europei punta a togliere almeno una parte dei mercati di sbocco al petrolio estratto in Russia. L’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo sta dunque rappresentando, tra i suoi effetti, un profondo ridisegno del sistema di produzione e distribuzione dell’oro nero , che da dieci anni almeno, da quando gli Stati Uniti avevano massicciamente affrontato lo sfruttamento dello «shale gas», governava il mondo delle forniture.
Oggi la Russia per vendere petrolio deve affidarsi all’Asia e in modo particolare alla Cina, rifornite via mare attraverso un serrato traffico navale, che però non basta a sostenere i prezzi: Mosca deve infatti praticare forti sconti sulle vendite, secondo quanto riporta un servizio di Bloomberg sull’argomento. Complessivamente, il flusso di petrolio russo verso l’Asia è aumentato, via mare, di almeno il 50 per cento dall’inizio del 2022. Le esportazioni russe, secondo i dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, che ha sede a Parigi, si sono stabilizzate in aprile sui livelli precedenti all’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio, mentre sui prezzi praticati c’è meno chiarezza. Norbert Rücker della banca d’affari Julius Baer, ha evidenziato come «a meno che l’Occidente non eserciti pressioni diplomatiche sugli acquirenti asiatici, non vediamo un aumento del divario di offerta e un’impennata dei prezzi del petrolio».
Il ridisegno del sistema distributivo del petrolio porta in primo piano le forniture africane, che al momento stanno sostituendo sul lato dell’offerta i fornitori russi. Le importazioni europee da parte dei raffinatori hanno visto, secondo i dati di Petro-Logistics, il petrolio di origine africana aumentare del 17 per cento in aprile, rispetto alla media del periodo 2018-2021. Nigeria, Angola e Camerun sono i maggiori esportatori verso l’Europa, a discapito dell’India, le cui forniture sono più che dimezzate. Tra gli effetti collaterali dell’embargo, il trasporto del petrolio via mare è il più evidente. Il petrolio russo viene caricato su navi che a loro volta lo riversano (in mare aperto) in petroliere più capaci che rendono maggiormente conveniente il lungo viaggio di trasporto. Una tendenza destinata a durare, con aggravio di costi ed evidenti rischi. Ma tutto nel mondo dell’energia sembra destinato oggi a cambiare, o almeno a trovare un nuovo punto di equilibrio.
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