Ermal Meta: «Mio nonno che morì con la gola tagliata, mia madre violinista, l’arrivo a Bari a 13 anni»- Corriere.it

2022-06-03 19:28:40 By : Ms. Abby Zhang

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Dal gelido inverno del 1943 all’Albania liberata dal regime: il cantautore ha costruito un giro del mondo (e del cuore umano) per raccontare il suo paese. Dove siamo tornati con lui

Ermal Meta, 41 anni, cantautore e scrittore albanese

«Assolvo tutti i miei personaggi, alla fine, anche i più crudeli. La storia è un fiume in piena, accade che qualcuno per salvarsi lasci affogare qualcun altro. Lo definiremmo un assassino? No, è solo un essere umano che non aveva scelta». Ermal Meta guida verso Tirana: alle spalle, persa nelle montagne di smeraldo che portano al Kosovo, c’è la prigione-miniera di Spaç, la bocca dell’inferno, dove furono torturati e uccisi centinaia di dissidenti albanesi, uomini fantasma «rieducati» dal regime di Henver Hoxha nei cunicoli delle miniere di pirite.

Ermal Meta nella prigione - miniera di Spaç

Lì d’inverno la temperatura andava 20 gradi sotto zero, d’estate arrivava a 40. Non c’era nulla, quello che restava delle esistenze dei prigionieri si trascinava sotto gli occhi di ferro della statua di lui, Il Dittatore. Che da molto tempo è stata distrutta e rimossa come tutte le altre sparse nel Paese, anche se è ben indicato il posto dove è rimasta per decenni. Domani e per sempre è il titolo del primo romanzo del cantautore albanese, 41 anni appena compiuti, che ha scritto centinaia di canzoni, ha vinto Sanremo nel 2018 con Fabrizio Moro (Non mi avete fatto niente , il titolo del brano ndr ) e ora ha deciso di raccontare una parte del suo passato: il libro è un incrocio di vero e verosimile, i fatti storici sono stati ricostruiti con anni di vita e mesi di studio. I sentimenti sono altrettanto autentici, perché vengono direttamente dalle vicende tenebrose di questo piccolo Paese.

Le strade che portano a Tirana, ormai, sono tutte dritte, e lo sono anche quelle che collegano il resto del Paese, laddove le montagne, i laghi e i fiumi non lo impediscano. Potrebbe sembrare ovvio, invece è uno dei tanti segni dell’uscita dell’Albania comunista dalla cortina di ferro, da uno dei regimi più spietati che il mondo abbia conosciuto. Il Dittatore, tutti lo chiamano solo e sempre così, temeva che le strade dritte sarebbero state sfruttate da ipotetici invasori per far atterrare gli aerei e strappare così il Paese delle aquile a una lunga e terrificante anestesia culturale e umana. Dall’altra parte dello Ionio, divisa dal canale d’Otranto, un braccio di mare di circa 80 chilometri, c’era l’Italia, l’unica fessura di luce che, oltre la cortina metafisica e il filo spinato, veniva dall’Occidente. Che era incarnato in Non è la Rai o nel Maurizio Costanzo show , trasmissioni che, complici le antenne sulle case di Durazzo o di Valona, hanno insegnato la nostra lingua a un popolo prigioniero di sé stesso, e alimentato un’illusione di benessere, felicità, ricchezza. Non era tutto vero, naturalmente, ma una cosa sì. La possibilità di essere liberi, per noi ovvia e a loro vietata. «Sono arrivato in Italia a 13 anni: mia madre Fatmira, che era una violinista, ci lasciò per qualche tempo a Fier, la mia città: io, mio fratello e mia sorella siamo rimasti da soli, ma sorvegliati dalla nonna, fino a quando mia madre non ha trovato una sistemazione a Bari. Allora l’abbiamo raggiunta. Così è cominciata la mia seconda vita», racconta il cantautore.

Ermal Meta in una stanza della prigione-miniera di Spaç, dove è ambientata una parte del libro: qui vennero torturate e uccise centinaia di persone per volontà del dittatore Enver Hoxha

E così arriviamo a Kajan, il protagonista di Domani e per sempre : «Il mio libro è un viaggio pazzesco nell’esistenza di una persona che, suo malgrado, si è trovata in mezzo a cose che non avrebbe mai immaginato di vivere. Forse in questo assomiglio a Kajan. Non mi interessava fare un libro su di me. L’idea mi è venuta una notte di aprile del 2020, avevo voglia di scrivere qualcosa dove la musica non fosse al centro della storia. Dopo aver creato la struttura mi sono reso conto che avrei dovuto approfondire le mie conoscenze storiche, non volevo rischiare di dipingere un quadro fuori contesto. I pezzi del puzzle dovevano essere tutti corrispondenti. Ho studiato molto». E, in parte, richiamato dal passato quello che è accaduto alla sua famiglia: il nonno materno, un medico, fu ucciso che aveva solo 30 anni. Lo trovarono con la gola tagliata.

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Si seppe subito chi era l’assassino: la nonna di Ermal andò a incontrarlo in carcere e lui giurò che avrebbe rivelato perché e chi gli aveva ordinato di uccidere. Non lo disse mai, quella stessa notte fu eliminato. «Alcuni eventi, soprattutto quando sono così traumatici, con il passare degli anni tendono a venire quasi mitizzati. A ispirarmi più che altro sono state le cose che ho vissuto diciamo in prima, seconda persona, le storie della cugina di..., dell’amico di..., della sorella di... Ha contato soprattutto il confronto tra una vita precedente e una successiva. Io ho avuto due vite, la prima che si è svolta qui, in Albania, e la seconda in Italia. Tutti i racconti che avevo sentito a quel punto li ho giudicati per quello che davvero mi apparivano, proprio grazie al fatto di aver conosciuto un’altra parte di mondo», spiega Meta. Intanto il traffico verso la capitale è davvero diventato degno di Los Angeles: «Una volta non ce n’erano proprio di macchine, ma tanti carretti. Solo carretti». Non era tanto tempo fa.

«L’IDEA MI È VENUTA UNA NOTTE DELL’APRILE 2020: VOLEVO SCRIVERE QUALCOSA DOVE LA MUSICA NON FOSSE AL CENTRO DELLA STORIA»

Elisabetta Sgarbi, direttore generale e editoriale de La Nave di Teseo, ci ha creduto da subito. Anzi, da prima: «Rimasi molto colpita quando ascoltai a Sanremo il brano Vietato morire (terzo nell’edizione 2017 ndr ). Mi feci subito viva con lui. Ma Ermal, con molta serietà, mi disse che per lui i libri erano una cosa importante e voleva essere certo di avere un libro da scrivere. Dopo qualche anno di silenzio, mi chiama annunciando: “Ho un libro da farti leggere, un romanzo”. Sono rimasta colpita da Domani e per sempre come rimasi colpita da Vietato morire . C’è una grande capacità di costruire storie, di intrecciare la Storia con la S maiuscola e le storie delle persone. C’è la guerra e c’è l’amore, ci sono la morte, il tradimento, la musica e la speranza. C’è l’Albania, c’è la Germania, ci sono gli Stati Uniti. Sono certa che la narrativa italiana con questo romanzo, potrà contare su una nuova, sorprendente voce».

L’intreccio, complesso e pieno di colpi di scena, è uno dei punti di forza di questo libro. Ma ce n’è anche un altro di pari importanza, che racconta la gente, il suo modo di vivere, o, meglio, sopravvivere. Quei legami familiari forti che la ferocia di Hoxha trasformò in un sistema di controllo e soprattutto in un’arma che la gente fu costretta a rivolgere contro sé stessa. La delazione divenne uno strumento per scansare le trappole del regime: in un Paese che nel 1945 era abitato da poco più di un milione di abitanti tutti si conoscevano o addirittura erano parenti. Fu proprio così che le radici divennero catene.

Ermal Meta sopra un bunker a Durazzo: il dittatore fece costruire circa 700 mila di queste strutture, anche di dimensioni diverse, in vista di un’ipotetica invasione del Paese. Quest’estate Ermal Meta sarà impegnato con il Tour Estivo 2022, che partirà il 6 luglio dal Teatro Ai Parchi Di Nervi di Genova

È l’inverno del 1943. Kajan ha 7 anni e vive in una povera casa contadina a Rragam, a nord dell’Albania: è solo con il nonno Betim perché i suoi genitori, Mami e Babi (che si chiamano Selie e Ago) sono partigiani e stanno combattendo i tedeschi. Al centro della stanza c’è un vecchio pianoforte scordato, che il piccolo si diverte a torturare. Facendo solo rumore. Pochi anni più tardi Kajan, diventato un giovane prodigio del pianoforte, spiegherà ai suoi allievi il significato del silenzio: «Tutti respiriamo per vivere, ma c’è un momento in cui anche il respiro è in pausa, in cui rimane in silenzio. Quella frazione di secondo tra l’inspirazione e l’espirazione in cui i polmoni si fermano, ma noi continuiamo a esistere. Mezzo secondo di niente, in cui tuttavia continuiamo a esistere. Sei secondi al minuto in cui l’aria non entra né esce, 140 minuti in 24 ore, trentasei giorni in un anno, sei anni in settant’anni in cui il tempo si ferma nei nostri polmoni. Sembra tanto, ma non ce ne accorgiamo, e mentre danziamo con la morte sorridiamo alla vita, un respiro dopo l’altro, una nota dopo l’altra, un silenzio dopo l’altro». A questo punto già sono accadute molte cose e moltissimo ancora deve succedere a Kajan, travolto dalle onde del destino di un mondo in bilico. Come adesso, forse.

La Casa delle Foglie era (ed è) una bella villa coperta di edera nel centro di Tirana. Costruita nel 1931, fu una moderna clinica ostetrica, durante l’occupazione tedesca diventò il quartier generale della Gestapo e infine fu trasformata nella sede del Sigurimi, il servizio segreto albanese. Da qualche anno è un museo, bellissimo in sé e certamente uno dei più importanti dell’Albania: sono stati raccolti i filmati dell’epoca, le foto, l’elenco dei nomi e i volti di chi fu ucciso, i sistemi di spionaggio, le «cimici» nascoste ovunque per captare le sirene corruttrici del «mostro capitalista». C’è persino un cappotto con una macchina fotografica nascosta nel revers, che veniva attivata con un finto bottone. Ascoltare, aprire le buste delle lettere, scattare foto compromettenti. E poi ricattare, quindi punire, spesso uccidere.

Enver Hoxha (1908-1985) è stato il dittatore dell’Albania dalla fine della Seconda guerra mondiale alla sua morte, avvenuta nel 1985

La violenza e la paranoia di Hoxha hanno spazzato via quasi due generazioni. Gente comune, e anche tanti intellettuali, medici, ingegneri, artisti: «Il primo atto di questo regime, e di tutti i regimi del mondo in realtà, è stato tagliare le teste pensanti. La scolarizzazione era una priorità, ma si insegnava a leggere e a scrivere a tutti solo affinché potessero capire e obbedire meglio agli ordini», spiega Meta. Lui qui è una vera celebrità, perché rappresenta molte cose insieme. Il libro, che ovviamente verrà tradotto anche in albanese, è solo l’ultimo tassello. Vincere Sanremo, per un giovane artista albanese, ha un valore difficile da spiegare: «Per noi ascoltare il Festival era un atto sovversivo, fatto di nascosto. Qui in Albania se un cantante andava sul palco e si muoveva a ritmo, finiva nei guai. Perché sarebbe stata giudicata un’esibizione filo occidentale. Imparavamo le canzoni a memoria, facevamo le nostre classifiche. L’atto sovversivo più potente nei confronti di un regime è sempre quello che ha a che fare con l’arte», dice mentre cammina nelle stanze della Casa delle Foglie.

La statua di Giorgio Castriota Scanderbeg, condottiero, patriota e principe albanese che guidò i suoi connazionali alla ribellione contro l’occupazione dell’Albania da parte dei turco-ottomani. È considerato l’eroe nazionale albanese

«Lavorare, lavorare notte e giorno per vedere anche solo un barlume di luce», scriveva il poeta Naim Frashëri, morto a Istanbul nel 1900 e poi seppellito a Tirana. È quello che ha fatto anche Fatmira, la madre di Ermal, quando è arrivata a Bari e non ha più potuto seguire il suo destino di virtuosa del violino ma ha dovuto trovare un lavoro dopo l’altro, le pulizie, l’assistenza agli anziani, per mantenere i suoi tre figli. Da sola. Una manciata di anni dopo quell’8 dicembre 1990, quando le proteste dei giovani fecero cadere definitivamente la cortina, l’inizio lento di una delle tante primavere che l’Est dell’Europa visse da quel momento in poi. In Albania oggi ci sono 2 milioni e 800 mila persone, il numero degli abitanti ha cominciato a decrescere proprio dal 1990, perché molti se ne sono andati durante le varie ondate migratorie e il tasso di natalità è crollato, diventando uno dei più bassi dei Balcani. Nella sola Tirana oggi vivono in più di 900 mila, la città è un cantiere che Edi Rama, attuale premier, già leader del Partito socialista ed ex sindaco visionario della capitale, ha aperto anni fa. La sua sensibilità di pittore l’ha spinto a cercare una rinascita anche estetica: ha fatto abbattere le case abusive e ne ha costruite di nuove, bonificando le rive del fiume Lana.

La copertina di «Domani per sempre» (La Nave di Teseo): i diritti cinematografici sono stati opzionati da Carlo Degli Esposti-Palomar per una serie tv. Meta sarà a Torino al Salone del Libro domenica 22, ore 18.30, Sala Blu

La rinascita, Rilindje in albanese, è cominciata nel 2013 con l’arrivo al governo di Rama e del Partito Socialista, che ha consegnato all’oblìo l’era di Sali Berisha, suo predecessore e già presidente. Berisha, tra l’altro, fu vicinissimo al Dittatore, sia perché faceva parte del Partito del Lavoro di Albania, sia perché era il suo cardiologo. Hoxha morì di fibrillazione atriale all’alba dell’11 aprile 1985. Un mondo è finito per sempre, seppellito sotto le macerie della Storia e quello che si affaccia, in uno dei Paesi più giovani d’Europa, ha i volti di uomini e donne che hanno dovuto e voluto fare un lungo giro per poi tornare, in nome di un atto maieutico, e diventare i nuovi padri e le nuove madri del Paese delle aquile. Gente come Kajan, il personaggio immaginario al centro di Domani e per sempre , e anche come Erion Veliaj, 42 anni, giovane e determinatissimo sindaco di Tirana.

«PER NOI ASCOLTARE IL FESTIVAL DI SANREMO ERA UN ATTO SOVVERSIVO. QUI SE UNO CANTAVA SU UN PALCO E SI MUOVEVA A RITMO FINIVA NEI GUAI»

Le storie di questi uomini e di queste donne sono ovviamente tutte diverse ma anche molto simili: Veliaj, per esempio, si è laureato in Michigan, poi master nel Sussex ed esperienze in Kosovo, in America Latina e a lungo in Ruanda. La sua vice, Anuela Ristani, ha un curriculum internazionale sia per formazione che per incarichi professionali. E così i giovani e le giovani della squadra, come Erka Mato, laureata a Boston grazie (anche) al fatto di aver lavorato d’estate come commessa e cameriera nell’esclusivissima isola di Martha’s Vineyard, fredda e ventosa culla delle vacanze dell’élite democratica americana. Lì ha costruito una parte importante del suo futuro (anche) servendo un gelato a Barack Obama, moglie e figlie. Cose che capitano. Tutti loro sono tornati, alla fine. O torneranno, prima o poi.

Kajan sceglie di farlo con una forza sovrumana. Mosso dalla percezione che esistono scelte ineluttabili: «Il mio è un libro sul destino, su ciò che diventa inevitabile, su come una piccola cosa possa cambiare tutto. Prima credevo che il destino fosse come un solco costantemente coperto dalla nebbia del futuro. Che è una specie di casa a luci spente, entri ma non vedi niente, devi in qualche modo accendere la luce e quando lo fai quello è il momento del presente. Adesso penso che i solchi siano tanti e paralleli, e che noi saltiamo dall’uno all’altro ogni volta che facciamo una scelta». Ermal Meta crede profondamente alle sliding doors, le porte scorrevoli che si aprono improvvisamente davanti ai nostri occhi, a volte sotto i nostri piedi. Nelle nostre menti, soprattutto. «A coloro che hanno trovato il pane nella pietra e l’acqua nella terra. A coloro che hanno trovato l’inizio nella fine e la musica nella guerra. A coloro che sono andati lontano. A chi è rimasto indietro con un pugno di vento che ha spento la fiamma nell’altra mano. A coloro che hanno sognato la vita ancora prima di poterla sentire. Ai figli di un tempo ferito, che il tempo non ha potuto ferire». Domani e per sempre è dedicato a loro.

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